LA LEZIONE SENZA TEMPO DI DON PRIMO
Don Primo era un presbitero, scrittore partigiano italiano e costruttore di pace, conosciuto come il parroco di Bozzolo dal 10 luglio 1932, dove vivrà per il resto della sua vita.
Arriva a Bozzolo in un periodo non molto facile per la maggior parte della comunità, che si trova infatti nell’epoca fascista; a partire dal 1938 il regime emana le leggi razziali contro gli ebrei. Da quel momento se appartenevi ad una “razza” diversa da quella ariana, così come se i tuoi pensieri erano contrari a quelli del regime, venivi emarginato, umiliato, arrestato se non addirittura ucciso. Sta per scoppiare la seconda guerra mondiale e il nord Italia rimane governato da Mussolini, prima come capo assoluto del governo e poi, dopo il luglio del 1943, come capo della Repubblica di Salò, fino al 25 aprile del 1945. Ed è proprio in questo contesto che Don Primo a causa della sua predicazione contro l’ideologia fascista e contro ogni forma di repressione verrà arrestato, poi rilasciato e da qui costretto a nascondersi “in casa sua”. È dall’autunno del 1944 che, per 8 mesi, don Primo vivrà nella propria canonica di Bozzolo, chiuso in una stanza angusta e disagevole ed è da qui che “prende vita” quello che diventerà il suo libro “DIARIO DI UNA PRIMAVERA”. Il parroco continua a seguire la sua vocazione attraverso la scrittura durante il periodo passato in isolamento in quella stanza che ha, come fonte di luce, soltanto una finestra alta un metro e larga ottanta. Don primo racconta e vive il dramma di tutto un paese e di un’intera popolazione attraverso la cornice di quella finestra, dalla quale vede nel silenzio il disagio della società da una parte, ma anche la rabbiosa ritirata dei tedeschi dall’altra.
In questa forzata clausura il sacerdote trova nella scrittura una forza che lo porta anche a cogliere il bello che non è visibile, e coglie nel silenzio quello che per noi uomini liberi è scontato, come il cinguettio di un uccello, il fruscio delle foglie. Ad esempio in una pagina del suo diario dice: “Gli anni passati tenevo aperto lo studio e mi inebriavo. È un profumo dolcissimo, come dolcissimo e sfumato il colore dei grappoli. Ci sarà fiorito anche l’albero delle serenelle che saluta all’ingresso. Di che cosa non ci derubano gli uomini? Ma di questo nessuno chiederà conto perché non abbiamo ancora imparato a stimarli dei beni. E forse sono i più belli perché non fanno tristi come gli altri”. Quello che ci vuole trasmettere è che abbiamo un bene immenso come la natura, ma noi non sappiamo apprezzarla. Ogni sua lettera, ogni sua parola e ogni suo pensiero fanno riferimento a Dio, è un dialogo con lui e, nonostante il periodo che sta passando, lo ringrazia sempre. Nelle sue pagine di diario si nota sempre un desiderio di libertà, come la giornata del martedì Santo alle ore 18, il quale dice: “Così, così è la pioggia che mi piace, la pioggia che vorrei prendere, a capo scoperto, in bicicletta o a piedi…
È una musica di primavera, una lavanda, quasi un rito……. E la pietà disperde il sogno e mi lega a questo soffrire dal quale non posso evadere.”
E come si vede dalle sue frasi, fa sempre riferimenti alla natura e trova in essa una creatura vivente e capace di ascoltare, guardare e capire, come dice lui il 3 marzo alle ore 17:30 “……. Più lontano, a sinistra, il campanile di San Martino. Vedere così è conoscere. E siccome ho tempo di immaginare, mi domando se queste creature non mi vedono, se non c’è un incontro di sguardi. Per volerci bene, come ce ne vogliamo noi, bisogna che almeno una volta ci siamo guardati”.
Ma per vedere le cose belle bisogna vedere con il cuore, perché quando l’occhio è stanco, l’occhio non vede perché vede senza amore ed è appunto così che le cose si fanno ostili, prendono una faccia che non si può guardarle, e quindi non si possono capire. Inoltre don Primo ad un certo punto del suo diario fa capire come gli uomini siano codardi, ossia si mostrano dispiaciuti davanti ad una scena cruda, ma infondo a loro interessa solamente salvare sé stessi. Lui racconta tutto questo così: “Di là della strada, proprio nel centro della mia visuale, tre pioppi cedui a vasti rami mi bloccavano lo sguardo. In questo momento due contadini li capitozzano. Sento il canto duro e aspro dell’accetta, vedo pigiare i rami uno a uno. Non ne godo, anzi ne soffro, ma non so impedirmi di pensare che mi sarà più comodo vedere, che un ostacolo è tolto e che la mia libertà ne guadagna…”. Infatti, nonostante senta la “sofferenza” degli alberi durante il loro abbattimento, in lui è forte il desiderio di vedere così, allargato il suo orizzonte.
Questo è anche quello che succede in quel periodo tra la gente, a cui dispiace che certe persone vengano arrestate o peggio uccise, ma non fanno niente per evitarlo perché infondo a loro non succede niente e quindi va bene così. Tutto il suo diario è uno sfogo con Dio, diventando per noi una testimonianza importantissima, perché quello che lui racconta in quelle pagine, in una diversa forma succede ancora oggi. Infatti la predicazione di Don Primo contro ogni forma di chiusura dell’uomo verso l’uomo è attuale più che mai, perché se prima la società discriminava gli ebrei, oggi discrimina gli omosessuali e gli immigrati. Lo vediamo addirittura nel nostro piccolo paese, dove il mese scorso alcuni ragazzi hanno affisso un manifesto contro gli omosessuali non risparmiando parole assurde e gravemente offensive che spaventano e allarmano. Lo stesso succede per gli immigrati che vengono visti come un problema e non come una risorsa da cogliere. Per questo motivo dobbiamo far tesoro delle sue parole per non cadere negli stessi errori, ovvero indifferenza ed ingiustizia. Essendo un prete innovatore, il suo obiettivo era quello di formare le coscienze, perché credeva nelle nuove generazioni e pensava che guidandole si potesse lavorare assieme per un futuro migliore. Ed è riprendendo in mano i sui scritti che possiamo capire e continuare il suo lavoro, quello di formare le coscienze dei giovani per renderli più consapevoli e quindi più responsabili.
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Davide Bettoni
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