UNA DURA LEZIONE DI CONSAPEVOLEZZA
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I film “Joyeux Noel” e “La Grande Guerra” mi hanno insegnato la consapevolezza.
Spesso quando si parla, anche a scuola, di guerra, non esistono molte parole che possano rendere l’idea di cosa sia la guerra e la vita in trincea, mentre le immagini sono fin troppo chiare.
Si percepisce la paura e il rischio che correvano i poveri soldati, mandati al fronte a combattere stando agli ordini di generali che sembravano pazzi e che non erano neanche sul campo, ma al sicuro nelle loro postazioni a giudicare ignorando, indifferenti a quello che stava realmente accadendo. Si vede anche la quotidianità dei soldati, che alle 10:00 di ogni mattina bevevano il caffè per ricordarsi casa, dove prima della guerra il caffè lo bevevano con la loro mamma e non rannicchiati in una fossa sperando di non morire. Mettendo poi a confronto le trincee nemiche si nota l’uguaglianza tra esse, i soldati che si comportano allo stesso modo, ma quello che li accomuna di più è la paura di non fare più ritorno a casa.
Con questo si dimostra l’umanità tra i due schieramenti che nei film viene presentata in modo diverso. “La grande Guerra” la sottolinea attraverso la compassione: nella scena si vedono due soldati italiani, Giovanni Busacca e Javovacci puntare il fucile ad un soldato austriaco mentre sta bevendo il suo caffè, ma nessuno dei due ha il coraggio di sparare al nemico, perché sparando da quella distanza erano certi di colpirlo. Durante un assalto, invece, si spara sì al nemico ma senza la certezza di ucciderlo e soprattutto prima di sparare non lo si guarda negli occhi, così esitando anche solo per un secondo.
Tutto questo dura fino a quando altri due soldati italiani senza esitazione sparano uccidendo l’austriaco. Invece nel film “Joyeux Noel” l’umanità viene mostrata attraverso la tregua tra gli schieramenti di Francia, Germania e Scozia nel giorno di Natale. I diversi eserciti si sfidano addirittura in una partita a calcio, si scambiano vini e whisky e mostrano le foto delle proprie mogli, alcuni avversari le baciano e questo mi fa capire che tutti quegli uomini siano diversi solo nella provenienza.
Questi film danno prova della contraddizione dell’uomo e dell’assurdità degli eventi: ci sono i giovani, che all’inizio non vedevano l’ora di partire perché la guerra, parola così affascinante, gliela avevano fatta immaginare come un atto eroico, indispensabile a fare di una generazione dei ragazzi dei veri uomini, come un glorioso dovere. Ma dopo qualche giorno già si pentono perché si rendono conto dell’assurdità che è la guerra, dove il giorno prima ci si spara fino all’ultimo proiettile, poi si fa festa con il nemico e il giorno dopo si ritorna a sparare. La contraddizione l’ho anche notata nelle poesie e nei racconti di giovani soldati impegnati in prima linea, come E.M. REMARQUE “NIENTE DI NUOVO SUL FRONTE OCCIDENTALE e G.UNGARETTI “FRATELLI”, che la confusione dei giovani che non riescono a capire il senso di questa guerra e quindi il bisogno di combatterla. Su questo mi ha colpito una frase tratta dal libro “Niente di nuovo sul fronte occidentale” la quale dice: “Da quando siamo qui, la nostra vita di prima è tagliata fuori; talvolta cerchiamo di darci una spiegazione, ma senza riuscirci. Proprio per noi ventenni, la gioventù di ferro, tutto è particolarmente confuso. I più anziani sono tutti strettamente legati al passato: ne hanno motivo, perché hanno mogli, figli, professioni, interessi già tanto forti che la guerra non è riuscita a distruggerli. Noi ventenni non abbiamo che i nostri genitori, qualcuno una ragazza. E poi c’erano un po’ di entusiasmo, qualche passione da dilettante e la scuola; la nostra vita non andava molto più in là. E di tutto ciò non è rimasto nulla.” Di questa frase mi ha colpito la sincerità, la voglia, ma ancor prima il bisogno di raccontare ciò che aveva da dire questo soldato, mi ha anche colpito il come la guerra riesca ad annullare l’entusiasmo e la voglia di vivere di un ragazzo. Mentre nella poesia dal titolo “FRATELLI”, che è una testimonianza e parla del timore che mette la parola fratelli nella notte, mi ha colpito il fatto che metta paura perché è una parola proibita, ma se uno ci pensa è la stessa parola che ha portato la tregua di Natale, la fratellanza tra i soldati dei diversi eserciti. Nel film “Joyeux Noel” c’erano ogni genere di persone, tutte con caratteri e personalità diverse e il soldato nel quale mi ritrovo di più è Ponchel. Ponchel fa parte dell’esercito francese ed è forse la persona che ha più paura della guerra, infatti la prima immagine mostra lui che prega disperatamente prima di fare l’assalto, ma quello che mi accomuna a lui è la grande nostalgia di casa che prova a superare compiendo gesti che lo portano con l’immaginazione, vicino a casa. Ad esempio bevendo il caffè nell’ora in cui era d’abitudine berlo con sua madre, o addirittura arrivando a scappare dalla trincea per godersi anche solo per qualche ora il focolare di casa. Addirittura tiene la sveglia come avviso dell’ora in cui bere il caffè, nel taschino che copre il cuore e quella sveglia gli ha, purtroppo solo per una volta, salvato la vita.
Invece nel film “Joyeux Noel” la scena che mi ha reso più consapevole di ciò che è stata questa pagina di guerra è quella che indurrà la tregua. Il tenore tedesco Sprink che era a far visita alla trincea con la moglie, sentendo una musica provenire dalla parte scozzese e spinto dalla voglia di esternare quello che pensava, ovvero che la guerra era inutile, aveva preso un alberello che si trovava in cima alla sua trincea e aveva iniziato a cantare intonandosi sulle note della cornamusa. Tutti i soldati erano sorpresi e i nemici non riuscivano a sparare perché sembrava un sogno che si stava avverando. Alla fine tutti i soldati uscirono tranne uno (che non voleva partecipare alla tregua come simbolo di lutto per il fratello deceduto) e festeggiarono, si ospitarono nelle trincee e fecero amicizia.
Questo comportamento l’ho trovato un po’ assurdo, perché il giorno dopo la guerra era ricominciata a causa di un proiettile partito dal fucile del ragazzo che non aveva partecipato alla tregua. Infine voglio parlare della foto che c’è sulla scheda, dove si notano i soldati che sembrano tutti uguali e soprattutto mi sono chiesto chi abbia fatto quella foto e poi ho capito che c’era e c’è ancora gente che rischia la vita per fare da testimone.
Tutto questo mi ha fatto riflettere, perché oggi i ragazzi che giocano a fare la guerra sono inconsapevoli di quella che è stata la vera guerra. Oggi essa viene sminuita dalla tecnologia, perché vissuta virtualmente, e in questo modo sembra non tocchi nessuno con il pericolo invece, che emulando questi gesti apparentemente innocui, nel tempo possano diventare normalità con il rischio, spero mai, di ritornare in trincea.
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Davide Bettoni
“LA STORIA DEL NOSTRO VINO”, CLASSE 1 A, SCUOLA PRIMARIA DI RIVAROLO MANTOVANO
Ciao a tutti, siamo i bambini della classe prima di Rivarolo Mantovano e vi vogliamo raccontare una nostra esperienza, da noi vissuta durante il nostro primo anno di scuola primaria.
Questa storia è durata quasi tutto l’anno, si è svolta contemporaneamente alla nostra vita a scuola, insieme a tutti i nostri maestri : abbiamo preparato il VINO e possiamo dire che, come noi siamo cresciuti, cambiati, maturati, così è successo per il nostro vino, che è stato lavorato, si è trasformato ed ora è bello frizzante, pronto per essere assaggiato!
Per spiegarvi bene come abbiamo fatto ad ottenere il vino i nostri insegnanti hanno realizzato delle grandissime strisce di carta, sulle quali erano scritte delle domande : DOVE? QUANDO? CON CHI? COME? COSA? PERCHE’?
Per rispondere a queste domande ci siamo divisi quindi in tre gruppi ; all’interno dei gruppi c’erano diversi “incarichi” da svolgere: chi parlava, chi correggeva, chi scriveva…
Finito di scrivere , la maestra ha infine appeso le strisce con le risposte sulla lavagna, le ha lette tutte insieme e…come in puzzle si è formato un racconto, la descrizione della nostra esperienza, che vi vogliamo far leggere.
“La storia del nostro vino”
In settembre, durante i primi giorni di scuola, in giardino abbiamo pigiato, con le nostre mani, l’uva che il signor Enrico Bresciani ci aveva regalato. Volevamo vedere come si faceva il vino. Eravamo con i maestri Laura e Nicola , la bidella Imma poi ci ha aiutati a mettere il succo dell’uva dentro tre bottiglie, che abbiamo portato giù in cantina.
Dopo qualche mese, ogni tanto, scendevamo in cantina, a vedere se i “fantasmini” stavano trasformando il mosto.
In febbraio, poi, abbiamo visto che il mosto aveva cambiato colore, da rosso scuro a viola e anche odore: abbiamo capito che era pronto , era diventato vino!!!
Allora lo abbiamo portato alla Cantina Bresciani , dove ci aspettava Enrico , che ci ha aiutato a imbottigliare. Dovevamo tenere bene la bottiglia per non fare uscire il vino e serviva tanta forza per mettere il tappo!
Enrico ci ha raccontato tante curiosita’ riguardo al vino, anche del tempo passato, dei nostri nonni.
La maestra Erika, dopo, ha voluto vedere se ci ricordavamo la strada fatta per andare alla Cantina Bresciani: ha messo sul pavimento un cartellone con le foto dei posti dove siamo passati e noi dovevamo dare dei comandi ad un robot, che doveva rifare uguale il nostro percorso.
Infine, insieme alle maestre Marta e Graziella, abbiamo confezionato le nostre bottiglie di vino con dei biglietti di auguri, che parlano della storia di Gesù o della primavera, per regalarlo alle nostre famiglie per Pasqua.
Ci è piaciuto tantissimo lavorare in questo modo!
Grazie per averci ascoltato
Le bambine, i bambini, gli insegnanti della classe 1 A
“… anche io sono una vigna, e i miei frutti saranno raccolti per il torchio, e come vino nuovo sarò tenuto in botti eterne…” Kalhil Gibran